Una finta Cremona, finta cattedrale, con finti campanili, e finti portici. Magnifica; d’inverni passati, finestre – vere o finte – che da lontano si appannano. Luci di novembre. Un freddo…
D’improvviso, come qualcosa che nel mondo prima non c’era, una tigre, una tigre possentissima, spacca i portali. Ruggendo, dalla chiesa si getta nella piazza. Ancora, le luci d’inverno, il freddo, la pietra. E su tutto, il manto superbo di quella superba tigre. Ruggisce, poi quasi muta.
Da tutto, intorno – portici, vicoli, botteghe di maestri liutai – sorge come incantevole una musica. Invitante, nostalgica, solitaria.
La tigre ci guarda – occhi profondissimi, che sembrano scivolare.
Poi canta.
Titoli di testa: La Tigre di Cremona; un film su Mina.
Ecco ciò che Federico Fellini non aveva ancora scritto; adesso si infiammava miracoloso davanti ai suoi occhi. Un film su Mina, sulle sue canzoni.
E in processione solennissima, le canzoni arrivarono.
Un uomo grosso, greve, che ha perduto ogni pudore e ogni stupore
Grande Grande Grande
Un ex capotreno, magro, sdrucito. Sigarette smangiucchiate, bicchieri; si arrampica sullo sgabello più vicino a una slot machine. Non ci gioca più
Non gioco più
Una donna riccia e stanca, appoggiata sfinita su una scrivania; guarda fissa davanti a sé, lavora in un call center
Ancora ancora ancora
La bimba orribile: trecce, brufolo, occhiali, denti; sapientona, precisina; fiocco.
Brava
Un terrorista bolso e sfatto, pericoloso perché cupo e senza inibizioni, come certi amori vissuti troppo a fondo
Mi sei scoppiato dentro il cuore
Una donna che definire donna è poco; fianchi, capelli, seno… tutto in esplosione. Femmina, selvaggia. Accanto, un uomo brutto, avido di sorrisi, calvo; rattoppato nei sentimenti, ma ricco
Vorrei che fosse amore
Un sedicenne glabro: jeans, maglietta, capelli dritti. Ultima apparizione di acne. Innamorato di una ragazza che, però, probabilmente lo riamerà. Tiene in mano un cubo di Rubik, quasi finito
Adesso è facile
Una signora di bigodini e zuppe vecchia maniera, che se le serve l’idraulico consulta le Pagine Gialle. In mano, una sontuosa rubrica.
Se telefonando
Per ultima appare zoppicando una donna sfatta, anticamente isterica, che le ha evidentemente provate tutte: alcol, sonniferi, fiori di Bach. Non paga dei tentativi infausti, così orribilmente desiderosa di avere anche solo per un attimo, sbrindellato e in offerta, un compagno accanto, si traveste da aquila (orrida muta di finta pelle grigiastra, con orecchie e ali annesse). E supplica:
Volami nel cuore
Fu allora che – altera, diafana, trionfante – apparve Mina, quella vera.
Treccia lunghissima, occhiali, un manto cupo a ornare l’inverosimile altezza. Si appoggia allo stipite della porta, fuma appena e scandisce:
“No, dico… chi le ha scritte ‘ste stronzate?”
Lo scrittore sussulta, sobbalza; non capisce. Voleva omaggiare Mina, Fellini. Farli incontrare: celebrarne la grandezza.
“Ma poi – rincara la Minona nazionale – ci fosse almeno un filo di consecutio temporum”.
Lo scrittore piega la testa, in profondo si dispiace. Forse parla di loro perché non sa parlar di sé.
“Sempre troppo attento a non farti sporcare il vestito da un’emozione qualunque”.
Come ha ragione… pensa in un unico istante di verità lo scrittore.
Delle canzoni, dovrebbe raccontare quel che nascondono; delle musiche, scovare a chi parlano; come.
“E a me – chiosò la Mina – puoi anche evitare di rompere i coglioni”.
Che voce!
– Walter Farnetti –